Scuola

Pensione anticipata scuola: molte penalizzazioni con Opzione Donna o Quota 102

Febbraio è un mese decisivo per la questione pensioni relativa ai dipendenti del mondo della scuola. Una situazione che interessa alcune migliaia di docenti e Ata ormai a fine carriera e che in base a una circolare del Ministero dell’Istruzione condivisa con INPS devono entro fine mese presentare la domanda di cessazione. Domanda che avrà poi effetto a partire dal 1° settembre 2022. Le domande dovranno essere inoltrate da coloro i quali sono interessati ad accedere al pensionamento anticipato dal servizio.

Opzione donna e Quota 102

Gli istituti che consentono di accedere alla pensione anticipata sono “Opzione Donna” e “Quota 102”. Con Opzione donna le lavoratrici del mondo della scuola che scelgono il pensionamento anticipato, devono accettare un taglio secco che può superare il 30% dell’assegno di quiescenza, pari a oltre 600 euro al mese.

Con Quota 102 invece il decurtamento è inferiore, ma si tratta di una possibilità transitoria, in quanto solo annuale. Con quota 102 si può intraprendere con il raggiungimento, entro il 31 dicembre 2022, di un’età anagrafica di almeno 64 anni e non meno 38 anni di anzianità contributiva.

Si tratta di istituti che consentono il pensionamento anticipato, anche se non in tutti i casi. E spesso si tratta di possibilità non molto convenienti per il dipendente.

Pensione anticipata poco conveniente

“Il punto è che tutti gli insegnanti, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario che non rientrano nei parametri minimi indicati nella circolare – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – purtroppo con le regole attuali devono mettersi l’anima in pace e attendere 67 anni di età. Questo per noi è inaccettabile, prima di tutto perché chi governa il Paese continua a ignorare l’alta percentuale di burnout tra i lavoratori della scuola, con un’incidenza tumorale molto più alta rispetto ad altri comparti pubblici e privati. Per questo continuiamo a chiedere l’uscita con le stesse condizioni delle forze armate, quindi attorno a 60 anni e senza tagli”.

“Poi c’è da dire – continua il sindacalista autonomo – che prima delle Legge Fornero, quindi del 2011, si poteva andare in pensione con i contributi versati, senza ulteriori penalizzazioni: si può passare in pochi anni a un regime così fortemente sfavorevole? Evidentemente no. Oggi si può invece lasciare il posto di lavoro un po’ prima solo se si accettano tagli pesanti alla pensione oppure a 67 anni. Con le proiezioni che ci dicono che tra non molto si arriverà a 70, se non a 75 anni di età anagrafica. Tra l’altro senza vedersi riconosciuto il rischio biologico, invece accordato ad altri professionisti, come nella Sanità, andando infine a percepire assegni pensionistici sempre più bassi, perché formati da contributi considerati interamente con il sistema contributivo e sempre meno con quello ‘misto’”. Pacifico conclude con due domande quasi provocatorie: “Quando si fermerà questa deriva? Bisogna morire in servizio per lasciare il lavoro?”.