Scuola

Abilitazione insegnamento: preoccupa il numero chiuso per abilitazione e specializzazione dei docenti con l’ennesimo ‘no’ ai Percorsi abilitanti speciali

Cambiare tutto per non cambiare nulla. Aleggia questa sensazione nel mondo della scuola in seguito alla riforma del reclutamento docenti che interviene su molti aspetti del percorso per accedere alla professione ma che trascura ancora molte problematiche, che attengono anche e soprattutto al mondo del precariato.

Percorso a numero chiuso

Non solo: l’introduzione del master da 60 Cfu che gli aspiranti docenti dovranno frequentare lascia perplessi sotto molti aspetti. Sia quello economico e delle tempistiche necessarie per assolvere a questo requisito. Sia per il fatto che ufficialmente si tratterà di un percorso a numero chiuso per abilitazione e specializzazione degli insegnanti.

I posti disponibili nelle università saranno infatti commisurati alla possibilità di stabilizzare i futuri docenti, per cui non saranno posti illimitati. Un numero chiuso che sembra fatto apposta per limitare il percorso per diventare docenti.

No ai Percorsi abilitanti speciali

L’auspicio di sindacati e forze politiche era che questa riforma del reclutamento potesse costituire una facilitazione e una agevolazione per i futuri docenti, e invece si stanno palesando una serie di impedimenti che proietta il mondo della scuola nel passato. I master da 60 Cfu a posti fissi ricordano molto da vicino l’esperienza negativa del Tirocinio formativo attivo (Tfa) a numero chiuso. Che ha portato a una carenza di docenti specializzati sul sostegno e in generale di insegnanti abilitati.

La proposta di attivazione dei Percorsi abilitanti speciali (Pas) è caduta nel vuoto. Le rassicurazioni del ministro dell’Università Cristina Messa, che si era impegnata a non irrigidire l’accesso ai percorsi formativi abilitanti all’insegnamento col numero chiuso, sembrano un lontano ricordo.

Formare solo docenti stabilizzabili

Se è comprensibile non formare docenti che non potranno essere stabilizzati, è poco logico porre limiti nel momento in cui ci sono quasi 200 mila supplenti l’anno. La sensazione è che si sia fatto ricorso ancora una volta a una soluzione interlocutoria che non riuscirà a indirizzare il mondo della scuola verso l’uscita dalla piaga del precariato e della supplentite, ma che rischierà di ingenerare ancora una volta equivoci e malcontenti. E a pagare il conto saranno i docenti stessi e gli alunni impossibilitati a beneficiare di un minimo di continuità didattica