Rinnovo contratto scuola: importo in busta paga che non soddisfa docenti e sindacati
Le sfide che attendono il ministro Patrizio Bianchi non sono di semplice risoluzione. La scuola italiana è a un bivio e dopo aver toccato probabilmente il fondo, con la pandemia che ha acuito tutte le sue criticità sia a livello infrastrutturale che di personale, può e deve risalire.
L’aumento del contratto
Gli aspetti da considerare sono molti, ma alcuni costituiscono sicuramente una priorità con cui il ministro dell’istruzione dovrà fare i conti per dare un segnale forte di credibilità. Il primo segnale che il mondo della scuola aspetta riguarda l’aumento degli stipendi per il personale scolastico: dunque sia per i docenti che per il personale ata. Il contratto è in fase avanzata di trattativa, e si è stabilizzato su una cifra che costituisce il traguardo minimo che lo stesso ministero, di concerto con i sindacati, si era proposto: un aumento a tre cifre che costituisce un segnale minimo per tutto il comparto.
Il budget messo a disposizione dal Governo, d’altra parte, è quello che è e con quello bisogna fare i conti. Si parla di un aumento medio di 105 euro circa in busta paga per il personale scolastico. Un risultato sufficiente ma certo non entusiasmante sia per chi lo riceverà in busta paga che per i sindacati.
Riforma del reclutamento
Il passaggio successivo riguarderà la riforma del reclutamento. In questo senso Bianchi ha le idee molto chiare, ma adesso vanno tradotte in realtà. La priorità è assicurare concorsi annuali, accessibili a chi può già garantire una formazione professionale adeguata.
Parallelamente però c’è da risolvere la questione del precariato. La stabilizzazione dei supplenti con 36 mesi di servizio e il doppio canale di reclutamento sono soluzioni che guardano in questa direzione. E’ proprio questo secondo strumento quello più caldeggiato dai sindacati, che in vista del prossimo settembre, con la ripresa della scuola, attendono risposte importanti. Il ministro e in generale il Governo possono partire da basi solide: la scommessa di riaprire le scuole nel bel mezzo della pandemia a gennaio, contro tutto e tutti, è stata di fatto vinta. E’ una buona base di partenza per provvedere a mettere in campo una serie di riforme che consenta un vero rilancio alla scuola italiana dopo anni di paralisi.
Quando i sindacati nn venivano pagati dal governo si battevano di più x i diritti dei docenti scolastici, adesso parlano, parlano appena lo stato dà il contentino loro si azzittiscono. L’elemosina di 105 euro x il personale della scuola ,serve a comprare il materiale scolastico x settembre e ottobre, x poter iniziare a lavorare con gli alunni. Lo stato cari sindacati deve aumentare lo stipendio di 500 euro PULITI nn lordi, perché i politici se ne aumentano 3000 di euro nei loro stipendi, senza fare nulla, anzi qualcosa fanno, dormono sulle loro poltrone…..
Bravissima Lucia, ben detto. Questo è il paese della cuccagna per i politici nullafacenti che godono di diritti e stipendi senza confronto con quelli di altri Paesi sviluppati.
Io sono strabiliata nell’udire o leggere che si rema sempre contro la classe docente, che invece si sfrutta per bene, con anni di precariato, poi negando alla stessa scatti di anzianità già acquisiti, e infine esigendo un lavoro, un rigore che pochi altri lavoratori possono vantare, in negativo. C’è dell’incredibile nell’aver fatto credere al mondo intero che i docenti lavorano 18 ore a settimana, con tre mesi di vacanze. Un mito che si ripercuote negativamente sulla considerazione sociale dei docenti, e che dà la possibilità di accontentare con quattro soldi di stipendio dei plurilaureati, formati e aggiornati continuamente, con un lavoro sommerso da brivido. I docenti lavorano, a seconda della disciplina insegnata, e degli impegni assunti, dalle 30 alle 40 ore settimanali, ma la cosa più terribile é che non si stacca mai con la testa. Ci sono periodi poi, in cui si cavalca l’onda della frenesia. Tutti pretendono da loro, ma alla fine i docenti sono coloro che stanno diventando più proletari degli stessi proletari. Pensate a qualche disgraziato che deve, con quello stipendio da fame, mantenere una famiglia, senza poter contare su altre entrate, per di più in città del nord. Merita questa classe di plurilaureati un trattamento del genere?