Scuola

Giornata mondiale degli insegnanti 2021: martedì 5 ottobre, un lavoro “da donne”

La giornata mondiale degli insegnanti 2021, martedì 5 ottobre, diventa un appuntamento importante e soprattutto da non sottovalutare, in un passaggio così delicato della storia della scuola italiana, tra pandemia e voglia di modernità. Martedì 5 ottobre si celebra la 27esima Giornata Mondiale del docente. L’evento è stato infatti istituito per la prima volta nel 1996, con la firma della Raccomandazione del 1966 sullo status di insegnante. Con l’occasione, si deciso di porre maggiore attenzione su diritti e doveri di chi insegna. Non solo: si è voluto porre maggiore attenzione all’esigenza di una formazione permanente dei docenti attraverso la sottoscrizione delle Raccomandazioni dell’UNESCO sullo status di insegnante, la principale struttura di riferimento per i diritti e le responsabilità dei docenti su scala mondiale.

Altro che lavoro di ripiego

La giornata mondiale degli insegnanti 2021 diventa un’occasione importante per ricordare a tutti il valore dei docenti, attori indispensabili per l’attuazione dell’Agenda 2030 sull’educazione. Il Governo ha più volte sottolineato negli ultimi tempi, con gli interventi del Ministro Bianchi, la necessità di dare nuova dignità al ruolo degli insegnanti. “La riforma della didattica si fa con i docenti con il personale tecnico amministrativo e con i dirigenti: dobbiamo formare gli insegnanti, non solo i nuovi ma anche riqualificare quelli che abbiamo, dando più spessore organizzativo alla scuola. Su questo stiamo scrivendo l’atto di indirizzo per i contratti ed è uno dei cardini del Pnrr“.

Bianchi ha sottolineato: “Abbiamo fatto quasi 60mila assunzioni in ruolo, abbiamo attuato i concorsi straordinari avviati dal governo precedente, completeremo i concorsi ordinari, ridisegneremo la modalità per dare cadenza regolare ai concorsi ma bisogna avere un percorso più chiaro a livello universitario per permettere a chi vuole fare l’insegnante di sceglierlo sin dall’inizio. Insegnare non può essere una scelta dell’ultimo momento e questo coinvolge moltissimo le nostre università”.

Il ruolo dei professionisti della formazione

L’obiettivo nei confronti del mondo dei docenti è quello di incrementare il livello di alfabetizzazione globale e ridurre l’abbandono scolastico, contribuendo alla crescita delle nuove generazioni, a migliorare la vita dei cittadini e a raggiungere lo sviluppo sostenibile. Un’opera che non può andare a compimento senza gli insegnanti: è grazie al loro operato che l’educazione dei giovani può volgere alla qualità, oltre che a un’equa e inclusiva opportunità di apprendimento per tutti. Per questo diventa importante che la Giornata mondiale degli insegnanti serva a suscitare riflessioni sul ruolo dei professionisti della formazione, sulle sfide che affrontano, sulle difficili condizioni di lavoro a cui sono spesso sottoposti. A partire dalla mancata stabilizzazione, se si pensa che in Italia dopo la Legge 107/15 di Renzi, che doveva abbattere la supplentite, i contratti annuali sono cresciuti di oltre 50 mila unità.

Numeri drammatici in Italia

I sindacati, Anief nello specifico, sottolinea alcuni dati drammatici: in Italia gli 870 mila insegnanti continuano a essere non considerati: due su tre hanno più di 50 anni di età, mentre con meno di 30 anni sono sotto l’1%, gli stipendi sono la metà di quelli della Germania, uno su quattro è precario, il diritto a fare carriera come quello alla mobilità continuano troppe volte a essere clamorosamente negati.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, si sofferma sui connotati della professione del docente: un perenne percorso a ostacoli, senza alcuna certezza di arrivare a meta, e che anche da immessi in ruolo comporta un carico crescente di burocrazia e incombenze che hanno poco a che vedere con la didattica. “L’approccio per quasi tutti i docenti sono a dir poco in salita, con supplenze a singhiozzo e anche quando si superano i 36 mesi di supplenza si rimane supplenti, malgrado la Commissione Ue abbia da tempo detto che si debba procedere con la stabilizzazione. Gli stessi concorsi rimangono troppo spesso illegittimamente preclusi. E di forme di carriera nemmeno a parlarne, tranne la possibilità, dopo cinque anni di ruolo, di partecipare all’ambita selezione per diventare dirigente scolastico. Gli stipendi rimangono tremendamente bassi, al punto che per dare un senso all’aumento del prossimo rinnovo contrattuale non si dovrebbe andare al di sotto dei 300 euro di media a docente: senza dimenticare il mancato riconoscimento di quel rischio biologico, invece da tempo accordato a infermieri e medici. La qualità dell’offerta formativa, inoltre, rimane fortemente condizionata dall’eccessiva presenza di alunni per classe, che nel terzo anno di Covid diventa ancora più rischiosa per la salute. Ai docenti, come al personale Ata, è stato imposto un Green Pass che oltre a essere discriminante non fornisce alcuna reale possibilità di schermarsi dai contagi. Ci sono poi i vincoli alla mobilità che in presenza di posti liberi diventano una palese violazione al diritto a ricongiungersi ad affetti e famiglia”.

Un lavoro “da donne”

In Italia quasi l’82% dei docenti è donna, addirittura il 99% nella scuola dell’infanzia e in due casi su tre alle superiori. Con l’approvazione delle riforme pensionistiche, l’età media dei nostri docenti sfora ormai i 54 anni, con sempre più ultrasessantenni e meno under 40. Gli under 30 sono delle “mosche bianche”. La regione italiana con il numero più alto di insegnanti è la Lombardia, dove ne sono in servizio più di 100mila. Complessivamente, in tutto il territorio nazionale, all’interno degli oltre 8.200 istituti scolastici, quasi 300 mila lavorano nelle scuole secondarie di secondo grado; un po’ meno nella scuola primaria; circa 200 mila nella scuola secondaria di primo grado e altrettanti in quella dell’infanzia che copre la fascia di alunni 3-6 anni.

Per i docenti il burnout rimane una delle condizioni “stressogene” frequenti a cui è più esposto. Da alcuni anni, sovvertendo le indicazioni europee anti-precariato, il tasso di supplentite si è incrementato in modo esponenziale. L’anno scorso si è toccato il record di supplenze annuali, con oltre 200mila supplenze annuali fino al 30 giugno o al 31 agosto. Le richieste di messa a disposizione, le cosiddette Mad, continuano a imperversare, con migliaia di cattedre assegnate agli studenti universitari, dopo che almeno la metà delle immissioni in ruolo non si realizzano perché il Ministero dell’Istruzione non vuole assumere da tutte le graduatorie. E sul sostegno si tocca l’apice del disservizio, con almeno 50mila non specializzati assegnati ogni anno agli alunni disabili e la metà delle cattedre, tutte vacanti, che continuano a essere collocate in deroga e a supplenti.