Scuola

Tfa Sostegno: non convince la ripartizione dei posti per Regione

Le prove di accesso per il Tfa sostegno, ormai è noto, sono costituite da un test preliminare, una o più prove scritte (o pratiche) e da una prova orale. Saranno prove stabilite dagli atenei che seguiranno le linee guida presenti nell’articolo 6 e all’allegato C del decreto 30 settembre 2011.







Le date, salvo modifiche dovute alla sovrapposizione con due delle prove suppletive del concorso a cattedra, sono fissate per tutti gli indirizzi della specializzazione per il sostegno per i giorni 19 e 20 aprile 2017.

Ma la domanda che ci si pone è: la ripartizione dei posti per il Tfa sostegno è equilibrata?

Il decreto pubblicato dal Miur sulla ripartizione dei posti destinati a ciascun ateneo per i corsi di specializzazione per le attività di sostegno ha sollevato molti interrogativi.

La Cisl scuola, con le parole del segretario generale Maddalena Gissi, ha una posizione ben definita: “Lascia a dir poco perplessi la distribuzione dei 9.649 posti complessivamente autorizzati sul territorio nazionale: appare infatti molto forte lo squilibrio che si determina fra le diverse aree territoriali, reso evidente dalla lettura di alcuni dati. A fronte, per esempio, dei 200 posti attivabili in Piemonte, o dei 310 dell’Emilia Romagna, sono ben 1.150 quelli autorizzati per la Campania e 1.165 per la Sicilia. E se in Lombardia si prevedono 1.270 accessi, nel confinante Veneto i posti saranno solo 280. Ma è anche difficile considerare equilibrata la previsione di 240 posti per l’intera Sardegna, a fronte dei 370 attivabili in Molise”.

“E’ vero che le Università hanno grande autonomia nel decidere l’attivazione di percorsi formativi, tuttavia non è pensabile che l’atto autorizzativo del Ministero finisca per essere una mera ratifica delle loro decisioni, che andrebbero collocate in un quadro di maggiore coerenza rispetto a parametri di cui non si può non tenere conto: dall’ampiezza dei bacini di riferimento, al prevedibile fabbisogno di personale specializzato nelle aree territoriali in cui i corsi vengono attivati. Quando l’offerta formativa delle Università si rivela carente proprio laddove è più consistente la domanda di personale specializzato (e viceversa), vale la pena chiedersi perché ciò avvenga e se non sia il caso di governare più efficacemente questi processi, anziché affidarli a quella sorta di ‘spontaneismo organizzativo’ delle Università cui abbiamo l’impressione di assistere”.

Sul ruolo degli Uffici Scolastici Regionali: “Che peso ha il loro parere? Con quanta determinazione fanno valere le ragioni di un efficace servizio da rendere al territorio? Se poi tra le motivazioni addotte nel determinare la disponibilità di accessi vi sono quelle legate alla maggiore o minore dotazione di strutture, non ci si può non domandare se sia plausibile un così palese squilibrio nella consistenza strutturale dei nostri Atenei, fermo restando che andrebbe in ogni caso garantita la qualità dei percorsi formativi, vista anche la spendibilità dei titoli sull’intero territorio nazionale”.