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Altro che cavallo di Troia, era una nave: scoperto clamoroso errore di traduzione

Quello del cavallo di Troia è un mito che conoscono tutti: gli Achei volevano conquistare la città di Troia e per farlo avevano finto di fare un regalo all’avversario, in segno di pace. L’idea del tranello fu di Ulisse e i troiani – lo raccontano Omero prima e Virgilio secoli dopo – fecero entrare un cavallo di legno, all’interno del quale, però, si nascondevano i soldati. Una delle leggende più note della storia della letteratura mondiale, però, molto probabilmente è nata da un errore di traduzione.







L’Hippos di cui scriveva Omero non era un quadrupede di legno, ma una nave da guerra di tipo fenicio. Il nome derivava dalla polena a testa di cavallo tipica dell’imbarcazione. È questa la tesi sostenuta da Francesco Tiboni, archeologo navale e dottore di ricerca all’Università di Marsiglia. Lo studioso, riporta AdnKronos ha pubblicato un articolo sulla rivista Archeologia Viva, in cui spiega come ha avuto origine questo errore. Il tutto potrebbe essere iniziato nel VII secolo avanti Cristo: delle navi da guerra di cui parlava Omero si era persa la memoria e il termine Hippos ha iniziato ad essere tradotto solo con “equus”, cavallo, per l’appunto. Ed in questo errore è incorso uno dei più grandi autori latini, Virgilio, che con la sua Eneide ha introdotto il mito del cavallo di Troia nella cultura occidentale.

“Se consideriamo l’iconografia, notiamo che tra le pochissime figurazioni del cavallo (venticinque in tutta la storia dell’arte antica), le prime si datano al VII secolo a.C., periodo cui risalgono le opere post-omeriche prese a riferimento da Virgilio”, spiega Francesco Liboni.

La tesi della nave è forse meno suggestiva rispetto a quella del cavallo, ma più realistica: “Se esaminiamo i testi omerici reintroducendo il significato originale di nave – certamente noto ai contemporanei – non solo non si modifica in alcun modo il significato della vicenda, ma l’inganno tende ad acquisire una dimensione meno surreale – spiega Tiboni – È di certo più verosimile che un’imbarcazione di grandi dimensioni possa celare al proprio interno dei soldati, e che loro possano uscire calandosi rapidamente da portelli chiaramente visibili sullo scafo e per nulla sospetti agli occhi di chi osserva”.

Questa scoperta, forse, non farà nascere nuove interpretazioni dei poemi di Omero e Virgilio – l’episodio, del resto, rimane lo stesso, cavallo o nave che sia – ma sicuramente sfata un mito. E se le note a margine delle opere letterarie potranno essere riscritte, nella memoria delle persone il “cavallo di Troia” resterà sempre metafora di un grande inganno.

huffingtonpost.it